UN NOME CHE SEMBRAVA SCELTO DOPO (2006)


Quella volta era partito per sempre.
Si era alzato senza fare rumore come al solito e l’aveva lasciata dormire.
Senza un bacio.
Ma lei lo sapeva.
Dentro di lei c’era quella vecchia sensazione, quell’aria scura che ti riempie i polmoni come l’ acqua e che non ti lascia respirare.
Difficile da spiegare come un dejà-vu, non era una premonizione.
Accadeva sempre dopo.
Si alzò da letto ed ebbe un mancamento.
Troppo veloce, Stella, si disse, mentre cercava, inutilmente con lo sguardo, di tenere ferma la porta della stanza, ma quella continuava a salire rimanendo sempre nello stesso posto.
Ho la pressione bassa e con ‘sto caldo...
Odio i giramenti di testa, anzi... Pensò. Ebbe un brivido. Mi fanno paura. Aggiunse ad occhi chiusi.
Faceva già caldo, in quella stanza rivolta ad est, e il sole aveva già dipinto di giallopesca la parete dietro la testata del letto. Poteva sentirne il calore, e vederlo senza aprire gli occhi. Come un amante, le era accanto e la stava guardando. Forse sognava?
Sei bellissima.
Sì, le aveva detto così mille volte quella notte, ed era stato dolce, più dolce di tutte le altre volte.
Bellissima.
Perchè allora quella sensazione?
Si passò un mano nei capelli. Sì, che fosse bella lo sapeva da tempo. Certe cose le senti ancora prima di diventarlo, anche quelle sono cose inspiegabili, ma le noti negli sguardi degli altri, in quelli interessati dei ragazzi e in alcune occhiatacce delle compagne di scuola. Ti chiedi, perchè mai tanto astio? Ma in fondo lo sai meglio di loro. Tu sei bella e loro non lo saranno mai.
Stella.
Un nome che sembrava scelto dopo.
Sorrise amaro.
Una stella splende sempre, anche quando è triste?
Può permettersi di non farsi vedere per qualche notte, nascondendosi dietro a qualche nuvola compiacente?
Riaprì gli occhi.
La stanza era come se la ricordava. Chissà perchè ogni mattina si faceva quell’esame di memoria, sempre uguale. Dalla finestra, aperta, arrivava l’odore salmastro del mare, sulla sedia c’era ancora il suo vestito di seta bianca, appoggiato allo schienale come se chi lo indossava due minuti prima, seduto su quella stessa sedia, si fosse volatilizzato in un istante.
Il giramento stava passando.
Si alzò seduta, lentamente. Le lunghe gambe distese sul lenzuolo, nude. Poi le cacciò giù dal letto, stette così alcuni istanti e poi si alzò. Lo specchio a tutta altezza dell’armadio le restituì l’immagine di una ragazza splendida.
Sopra, all’altezza del viso, c’era un post-it azzurro.
Il cuore le si fermò per un attimo.

Ti ho mai detto che ti amo?

Sì. Sorrise, e lo rilesse un milione di volte in un istante.
E trasse un sospiro, come se fossero ore che non riusciva a farlo.
Perchè mai uno dovrebbe andarsene senza salutarti? Si chiese, a voce, aggiustandosi i capelli e raccogliendoli sulla nuca.
Sarebbe uno stupido, si rispose.
Si girò di fianco e rilasciò i capelli. Poi li scosse, se li scostò dal viso.
Stupida, si disse. Sei un’oca stupida...
E rise, mentre si infilava nella doccia.

 

FINE



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